NOTIZIE

15 ottobre 2021

Cattedrale di Jesi, 26 settembre 2021

Assemblea Diocesana Pastorale

Alessandra Marcuccini, teologa e insegnante di religione al liceo classico di Jesi, ha iniziato la sua conversazione chiedendosi dove è il principio del nostro cammino, ha offerto alcune chiavi di lettura del nostro tempo e ha proposto due sogni per la Chiesa, «”Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità”: lo leggiamo nel Vangelo di Giovanni (Gv 16,13) e Gesù ci dice che la verità è una meta da raggiungere. Ciò che ci è stato dato non è una verità da afferrare con la ragione, ma ci mette in cammino. Papa Francesco, nel viaggio pastorale a Budapest del 12 settembre, ha detto che la fede cristiana è un evento, una Parola viva, Gesù è Parola vivente che pone sempre davanti a noi la possibilità di un’adesione piena. Noi siamo costitutivamente viandanti e pellegrini e la Chiesa è sinodale nella sua natura. Il messaggio di Gesù è sempre declinato al plurale, perché la nostra fede è una fede plurale per essenza (preghiamo il Padre nostro, nelle beatitudini diciamo Beati voi…), noi siamo ontologicamente insieme perché lo Spirito che ci abita è lo Spirito del Dio Trinità che possiamo nutrire solo nella relazione con gli altri. Lo Spirito è nel noi e si produce nel noi. È come se dovessimo immaginare che lo Spirito di Dio è in ciascuno di noi e nella Chiesa tutta, ma è anche accanto a noi e dunque non dobbiamo avere paura. Non solo Dio ci guida, ma c’è un Dio verità che è avanti a noi e ci aspetta. Se acquisiamo l’idea che camminiamo verso la verità, dobbiamo curare uno sguardo positivo verso il nostro tempo e verso il nostro mondo. È molto difficile fare questo, perché siamo abituati a parlare di un tempo secolarizzato, alla deriva, lontano dalla fede, ma se noi cristiani abitiamo la promessa di Cristo, dobbiamo nutrire la positività dello sguardo, anche negli eventi più complessi. Le persone, in questo tempo, sono più libere e maggiore libertà coincide con maggiore caos: la libertà chiede una responsabilizzazione, ma dobbiamo educarci a vedere il positivo anche negli elementi che ci destabilizzano nell’immediato. Forse il pensiero sulla fragilità umana è più vero rispetto a quello supponente dei secoli precedenti che considerava l’essere umano capace di guidare il progresso verso una felicità sicura.

Il nostro tempo è un tempo più vero e il nostro sguardo è quello che solo noi possiamo avere. Dire che noi siamo “nani sulle spalle dei giganti”, significa affermare che noi siamo piccoli rispetto alla tradizione che ci precede e che ha prodotto una verità nella fede che viviamo; ma noi possiamo appoggiarci su questa tradizione per guardare oltre, un po’ più in là. Essere fedeli alla tradizione significa dunque per noi assumere il compito di arricchirla del nostro sguardo.

Due realtà che sono presenti da tempo nella vita della Chiesa e che nascono dal Vangelo meritano di essere approfondite: il sacerdozio comune e il sensus fidei.

Il sacerdozio comune, che ha radici nella Scrittura, è presente nella riflessione della Tradizione ed è stato guardato con sospetto nel tempo della Riforma. È un tema che non è stato compreso appieno, ma ripreso in maniera forte dal Concilio Vaticano II. Il sacerdozio comune dice che, in virtù del Battesimo che è configurazione a Cristo, ogni fedele è sacerdote, re e profeta. Il Concilio ci ricorda che la più alta dignità che possiamo avere è quella di essere figlio di Dio, anche se cambiano le funzioni, il compito, il ministero, il carisma. La separazione netta tra la chiesa che insegna e la chiesa che impara va riletta perché il popolo di Dio si riunisca nella sua dignità profonda. Il sacerdote offre a Dio tutte le speranze, le ferite e le sofferenze dell’umanità, l’Eucarestia è il centro della vita di fede, ma dobbiamo ricordare che l’Eucarestia è sempre l’eucarestia del popolo di Dio. Noi siamo il Corpo di Cristo nel mondo perché ci nutriamo del Corpo di Cristo. È come se Gesù ogni volta tornasse a lavarci i piedi, a prendersi cura di noi, delle nostre difficoltà, anche del vivere la fede. Noi abbiamo il dono di celebrazioni dove Dio torna a irradiare del suo amore la vita delle persone che partecipano all’eucarestia e il mondo: per questo non siamo soli. Questo avviene grazie al sacerdote e al popolo sacerdotale che è condizione della celebrazione stessa.

La dignità di figli di Dio concede la regalità: essere re significa non essere sottomessi ed esercitare la libertà di figli di Dio. Si è sacerdoti, re e profeti. Ogni battezzato è profeta in virtù della funzione profetica svolta da Gesù. Il profeta è colui che parla a nome di Dio. Il popolo di Dio come esercita la funzione profetica? Il concetto del sensus fidei nasce nella Scrittura, lo troviamo nel capitolo 2 della Lumen Gentium e in altri documenti e viene ricordato costantemente da papa Francesco per ricordare che, in virtù del battesimo, il popolo di Dio partecipa della funzione profetica ed è coinvolto nel testimoniare il Vangelo e la fede apostolica. Questo fin dagli inizi della Chiesa, quando fu necessario stabilire quali definizioni dottrinali potessero essere adeguate a esprimere la fede della Chiesa, e nelle riflessioni riguardanti la prassi e la morale. Quando parliamo di sensus fidei parliamo della Chiesa come popolo di Dio e del singolo fedele che, nutrendosi del Corpo di Cristo, partecipa attivamente alla funzione profetica della Chiesa. Il sensus fidei ci parla di un popolo di Dio che cammina insieme.

Nella Chiesa non c’è un potere, ma solo un servizio che ciascuno è chiamato a svolgere e tutti partecipano di quella vocazione profetica che consente di procedere verso la Verità, insieme e ascoltando la voce di tutti.

Secondo papa Francesco, il problema più grande della Chiesa di oggi è il clericalismo, una dimensione che indica la fatica che facciamo per uscire da una visione di una Chiesa gerarchica, divisa come societas perfecta. Anche i laici sono all’interno di una visione clericale quando pensano la vita della Chiesa dove l’autorità mira a stabilire delle regole ferree che producono sempre la sensazione di inadeguatezza per cui la Chiesa rischia di diventare un luogo di separazione e della scissione. I laici possono essere malati di clericalismo quando sono incapaci di dialogare veramente con il mondo e non sono disposti ad assumere le proprie funzioni date dalla vocazione laicale. L’umanità ha un grande bisogno di spiritualità e del Vangelo per cui per essere Chiesa in ascolto dobbiamo pensare che in tutta l’umanità c’è partecipazione alla verità. Dobbiamo ricordare che lo Spirito di Dio soffia nell’umanità e dobbiamo essere disposti a compiere un esodo, a uscire dal nostro recinto e dalle nostre sicurezze. Si è fuori dal clericalismo quando ci si fa carico di tutta l’umanità, come popolo di Dio, per portare tutti a Dio, nessuno escluso. Svolgere una funzione profetica può essere difficile, ma insieme, se usciamo da categorie prestabilite e recuperiamo l’umano, ci ricollochiamo nel cammino verso Dio.

Dobbiamo sognare una Chiesa capace di andare verso la comprensione vera della realtà del popolo di Dio, del sacerdozio comune, del sensus fidei, dove ognuno di noi, nel suo ruolo particolare e insostituibile, impari a togliersi i sandali di fronte allo spazio sacro dell’altro che incontriamo nel nostro cammino (cfr n. 172 Evangelii Gaudium). Un altro sogno è che la Chiesa ponga particolare attenzione al femminile, alla rappresentazione del femminile all’interno della Chiesa. Viviamo un tempo in cui socialmente le situazioni sono cambiate per le donne e per gli uomini e sono stati creati nuovi equilibri. A inizio anno papa Francesco ha aperto il ministero di accolitato e lettorato per le donne ed è stato un passo avanti. Cominciamo a cambiare il linguaggio della liturgia e non stanchiamoci di lavorare in questa direzione. È una sfida che la Chiesa deve saper accogliere. Con grande amore per la Chiesa, per il popolo di Dio, per la nostra tradizione, sappiamo dire tutto quello che può aiutare la Chiesa a essere più fedele alla nostra origine, a Gesù Cristo».

 

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