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28 settembre 2021

Omelia del Vescovo nella solennità di san Settimio

Tanta gratitudine per i doni del Signore alla sua Chiesa

Ringraziamo il Signore perché piano piano stiamo ritrovando un po’ di normalità e anche la vita delle nostre comunità comincia a ripartire. Chiediamo l’intercessione del nostro patrono san Settimio, perché la vita di fede ritorni a manifestarsi pienamente.

Stasera in modo particolare vogliamo ascoltare quanto il Signore ha da dirci. Vogliamo esprimere la nostra gratitudine per i doni che sta facendo alla Chiesa sua sposa.

Fra i doni ricevuti non possiamo non gioire per la recente Ordinazione Sacerdotale di don Paolo Tomassetti.

È questa l’occasione buona per annunciare l’Ordinazione diaconale di Lorenzo Gentili di Moie, che avrà luogo in Cattedrale il 31 ottobre.

L’8 dicembre, se Dio vuole, ordineremo alcuni diaconi permanenti.

Vogliamo ringraziare il Signore per i 25 anni di diaconato permanente dei diaconi Guido, Alberto, Giancarlo.

Voglio esprimere un’immensa gratitudine per tutti i ragazzi che hanno ricevuto la Cresima e la Prima Comunione. Nell’amministrazione di questi sacramenti abbiamo saltato totalmente un anno. Ora abbiamo ripreso a pieno ritmo. Grazie al Signore.

E vogliamo ringraziarlo anche per i matrimoni che si ricominciano a celebrare.

 

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Festa di San Settimio, di lui che è stato missionario e pastore. In questo tempo di così grande cambiamento, guardando san Settimio, ci chiediamo: Come annunciare il Vangelo? Per lui, entrato in questa terra pagana tutto era nuovo, tutto era da iniziare. Un po’ siamo anche noi su quella linea, siamo in un nuovo inizio: e allora dobbiamo chiedercelo: Come portare il Vangelo, come far sì che la fede sia trasmessa alle nuove generazioni?

La Chiesa è per sua natura missionaria.

La Parola di Dio ci ricorda l’impegno missionario della Chiesa e questo deve essere il nostro primo interesse. In un recente intervento il Santo Padre parlava dei fedeli come di Discepoli-missionari. Guardando la figura di San Settimio, voglio offrirvi questa parola: Discepoli-missionari.

Ricordo spesso che la Chiesa è chiamata dal Signore a rivedere tanto del suo modo di fare e di presentarsi al mondo. Anzitutto questo è un tempo di ritorno all’essenziale, a ciò che conta per davvero.

E cosa conta allora? Cosa deve imparare la Chiesa per poter essere fatta di Discepoli-missionari?

Anzitutto è prioritario il cuore docile e in ascolto: l’ascolto che pone davanti a sé la Parola di Dio come lampada che illumina.

Solo se veramente discepoli, cioè in ascolto e obbedienti, si potrà essere missionari capaci di offrire la bellezza del vangelo.

E questo non dimentichiamolo mai: il credente per natura sua è missionario. Andate in tutto il mondo e portate il vangelo, diceva Gesù. Portate il dono grande che vi è stato affidato.
Quando Gesù ci chiede di essere sale e luce, in fondo chiede di essere missionari. La Chiesa è missionaria, è chiamata e poi inviata a portare il vangelo. E come il sale che perde il sapore, o la luce che non illumina non servono più a niente, così una Chiesa, una comunità, un credente che non portano Gesù e il suo vangelo, hanno perso il loro significato.

È possibile essere missionari solo se si è discepoli, solo se si segue Gesù, solo se si va in verità dietro a Gesù. E Gesù spiega in maniera incisiva cosa significa essere discepoli, per poter essere missionari.

Come prima cosa potremmo dire che il discepolo vive una forte unione con il suo maestro. Il discepolo vive una comunione di vita con il suo maestro. Una relazione forte, talmente forte che è un’appartenenza. Tutto vero, ma dette così sono parole belle ma ancora non concrete. Ci pensa Gesù a essere concreto quando nell’incamminarsi verso Gerusalemme e chiedendo ai suoi di farsi veramente suoi discepoli dice: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». E una forte relazione con Gesù, una relazione intensa di amore, un’appartenenza a Gesù di fatto passa attraverso queste tre vie: rinnegare se stessi, prendere la croce e… prenderla ogni giorno, precisa Luca, e seguire Gesù.

Rinnegare se stessi è accettare la lotta per vincere il male che è in ciascuno, per vincere l’uomo vecchio, la parte sbagliata che è in noi, le inclinazioni al male.

Sì, il discepolo è chi accetta di lottare.

Il discepolo è chi vuole dire il suo sì al Signore, anche nella lotta fino alla croce, fino al martirio. Un sì che non è il sì delle circostanze importanti, ma è il sì della quotidianità, delle cose piccole, di ogni momento.

Per questo, infine, il discepolo percorre la via del maestro, rivive i suoi esempi, vive soprattutto l’obbedienza alla parola, vive nell’ascolto fiducioso del Signore.

Da questa relazione così intensa con il Signore, il discepolo trova un senso forte alla sua vita, la sente particolarmente significativa e proprio per questo può diventare luce e sale, può diventare missionario. In fondo tutto questo è ciò che è accaduto a san Settimio.

Quando Settimio, ormai convertito al cristianesimo, dalla Germania venne in Italia con alcuni amici, fece la sua prima tappa a Milano. Ormai conquistato da Cristo, da autentico discepolo non può che parlare di lui, cioè essere missionario. È costretto ad andarsene da Milano a motivo della persecuzione di Diocleziano. Siamo presumibilmente nel 303. Si reca a Roma dove non smette di annunciare il Vangelo, raccogliendo frutti abbondanti di conversione. La sua figura coraggiosa e luminosa non sfugge al papa Marcello 1°, papa per poco più di un anno dal 308 al 309, che lo ordina vescovo e lo invia in questa terra da evangelizzare.

Le notizie sono veramente scarne. Ma qui Settimio trova il giudice Florenzio che lo ferma nel suo apostolato e gli dà l’ultimatum di sacrificare agli dei entro cinque giorni, secondo l’editto imperiale.

Ovviamente Settimio non può ascoltare la proposta che gli viene fatta di tradire la sua fede, per cui viene decapitato. San Settimio è missionario, vescovo, e martire. Caratteristiche che lo accomunano in modo particolare agli apostoli.

Come gli apostoli ha dato per Gesù la sua vita. Ha annunciato la parola, ha gridato il nome di Gesù, è stato associato a Gesù nel martirio e con Gesù è nella gloria e nella beatitudine che il Signore riserva per i suoi servi fedeli.

Se Settimio è discepolo-missionario, modello per tutta la Chiesa e ogni credente, noi sacerdoti vogliamo cogliere in modo particolare le caratteristiche del suo essere pastore.

Il pastore fedele è consapevole che gli è stato affidato un grande bene, un bene che non gli appartiene, non è suo; gli è stata affidata la Chiesa che è di Cristo.

Ora il servo sa di dover rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Ecco allora che noi pastori dobbiamo avere davanti agli occhi alcuni comportamenti. Non leghiamo gli uomini a noi, ma conduciamoli a Cristo; siamo servi, mai padroni! Non cerchiamo mai potere, prestigio, stima per noi stessi. Anche noi pastori impariamo a essere come Maria: la via perché i fratelli arrivino a Cristo Gesù.

Impariamo la fedeltà che è gratuità, generosità. È il servo malvagio, che si mette a gozzovigliare e a percuotere coloro che dipendono da lui, tradendo l’essenza del suo incarico. Infine la fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole di Cristo il pastore autentico porta alla gente. Esse sono il bene più prezioso che gli è stato affidato. Settimio è modello di discepolo, modello di Missionario, modello di Pastore. II Signore tocchi il nostro cuore, ci renda capaci di rimanere nel suo amore, ci doni la sua pace e faccia sì che la nostra gioia sia piena. Amen.