DOCUMENTI EPISCOPALI

15 agosto 2014

Mi ami tu? Seguimi!

Dietro Gesù per un cammino di conversione
e rinnovamento personale e comunitario

Dal Vangelo secondo Giovanni (21,15-19)
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

Introduzione

Nella recente Assemblea della CEI Papa Francesco ci disse che sempre era rimasto colpito da questo dialogo di Gesù con Pietro. E soprattutto sentiva forte quella conclusione: Tu seguimi! Pietro era passato per tanti stati d’animo: la vergogna per il tradimento e il rinnegamento, l’imbarazzo perché non sapeva come rispondere a quelle domande incalzanti di Gesù. E poi la pace. Gesù gli dava ancora fiducia, Gesù si rivolgeva a lui ancora come ad un amico prediletto.
È quanto sta accadendo a noi. Il Signore Gesù alla nostra Chiesa Jesina dice: Mi ami tu? Lo dice a ciascuno di noi: lo dice a me, lo dice ai Sacerdoti, ai Diaconi, ai Religiosi, ai Consacrati, a chi svolge un ministero, agli educatori, insomma a tutto il popolo di Dio. Ancora una volta Gesù fa la sua proposta di amore alla sua Chiesa e le dice: Seguimi.

1– La gioia del Vangelo

Questa parola di Gesù cade in un momento preciso: è un momento in cui da una parte troviamo delle difficoltà per tutte le situazioni esterne che viviamo, ma anche per le nostre fragilità e povertà; ma nello stesso tempo avvertiamo l’importanza di essere annunciatori del Vangelo proprio in questo tempo, in un mondo assetato e affamato non solo di pane, ma della Parola di Dio.
Ecco perché ci ha colpito la recente esortazione del Papa Evangelii Gaudium: la sentiamo come la risposta a tutte le domande della Chiesa e del mondo di oggi e come un invito a non arrenderci, ma a rispondere generosamente all’invito del Signore “Tu seguimi”.
Seguire il Signore: per far che? Il Papa in EG ci risponde che oggi la Chiesa è chiamata ad essere un “Chiesa in uscita” (cfr EG 20-24). L’impegno pastorale della Chiesa, oggi, si pone all’interno di una rinnovata preoccupazione missionaria. La nostra Chiesa diocesana non vuole sottrarsi a questa chiamata. Si tratta allora di rinnovare una vibrante passione per la missione, che tutto rianima e ricompone attorno al primato di un Vangelo annunciato e testimoniato.
La sfida è profonda, come un cambiamento di ottica e di orientamento: «Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato di permanente missione» (EG 25). È la conversione missionaria di ogni Chiesa particolare e di ogni fedele di Cristo, a partire dal vescovo (cfr EG 31).
Sarebbe errato dire che non facciamo niente, che non abbiamo fatto niente, che non ci sentiamo già in missione. Ma una esortazione così forte ci fa intendere che il Papa ci chiede qualcosa di più. Si deve uscire, insomma, dall’idea della ripetizione di quello che si è sempre fatto.
C’è un rinnovamento da operare, un atto di coraggio da fare, una conversione da vivere nel cuore, nella mente, nelle scelte. Sì, nel cuore, nella mente e nelle scelte, perché vita spirituale e missione sono strettamente connesse: «Se vogliamo crescere nella vita spirituale non possiamo rinunciare ad essere missionari» (EG 272). «La missione non è parte della mia vita… è qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo» (273).
Sono parole forti che devono far riflettere su come si deve intendere la vita cristiana e ogni ministero. Noi siamo nel mondo per essere missionari dell’amore di Dio, per aiutare a scoprire la gioia e la forza del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

2 - Un anno di discernimento

L’anno pastorale è iniziato con l’assemblea diocesana del 19 ottobre u.s. che aveva per tema “la vocazione laicale in una pastorale condivisa”. È stata vissuta tutta tra noi, senza relatori esterni e tutta attenta alla dimensione di Chiesa (Sensus Ecclesiae) dentro la quale sono collocati i diversi ministeri (come quello presbiterale) e le diverse vocazioni (come quella laicale). È stata una buona esperienza di Comunità Cristiana nelle sue componenti fondamentali (clero/laici/vita consacrata), finalizzata a far crescere la corresponsabilità, superando le tensioni tra preti e laici e cercando le vie per una organizzazione pastorale più condivisa. Solo da una chiesa sinodale può nascere e sviluppare una chiesa missionaria. (Vedi il fascicolo degli Atti pubblicato sulla Rivista Diocesana).
Il discernimento comunitario in 10 gruppi ha raccolto anzitutto le esperienze significative di comunità al plurale dove, cioè, sono presenti insieme le diverse vocazioni. Ha affrontato il problema dell’appartenenza, resa difficile non solo in città, ma anche nei paesi. Ha esaminato soprattutto come un laico possa portare avanti la sua tipica vocazione nel mondo, cercando di creare legami. Infine si sono raccolte indicazioni per lavorare insieme nel prossimo futuro verso una realtà significativa e importante. Sono stati indicati diversi obiettivi, ma poi il Consiglio Pastorale Diocesano ha proposto un cammino verso la costruzione della Comunione tra le vocazioni e i ministeri, l’organizzazione, la valorizzazione, la relazione reciproca. Cosa di cui si parla in questa esortazione.

L’anno pastorale 2013/14 è stato vissuto anche dai Sacerdoti in maniera un po’ insolita: non sono stati fatti incontri di aggiornamento particolari, non incontri di studio, ma si è voluto riflettere per un anno intero su loro stessi, sul significato della loro presenza nella Diocesi, chiedendosi cosa il Signore vuole da loro in questo particolare momento della storia e della Chiesa.
La domanda nasceva da una fatica che si sta facendo: si avverte in particolare una certa stanchezza e la difficoltà a rispondere a tutte le richieste che vengono dal popolo di Dio. Ma in tutto questo si ha la certezza che non si è abbandonati dall’amore di Dio: tutt’altro. Anche un momento di fatica serve per comprendere che il Signore chiama ad una svolta, ad una crescita e forse a rispondere in maniera nuova alle richieste del popolo di Dio. Per questo ci si è dati un anno di riflessione… in ascolto dello Spirito.

 

1– IN ASCOLTO DELLO SPIRITO

1.1 - Una “tregiorni” per partire

Tutto è cominciato con una tregiorni in cui i Sacerdoti sono stati accompagnati a rientrare in sé stessi, ad interrogarsi sul loro essere sacerdoti: questo prima di vedere come organizzarsi, prima di chiedersi cosa fare. Alla fine sono emersi alcuni pensieri, ovvi se vogliamo, ma importanti da ricordare e da sottolineare.
Il lavoro di quei tre giorni può essere sintetizzato in un Decalogo del Sacerdote:

1- È più importante come vivo io da sacerdote di quel che faccio come sacerdote.

2- È più importante ciò che fa Cristo attraverso di me di quel che faccio io.

3- È più importante che io viva l’unità nel presbiterio che buttarmi a capofitto da solo nel ministero.

4- È più importante il servizio della preghiera e della parola che non quello delle mense.

5- È più importante seguire i collaboratori che fare da me e da solo più lavori possibili.

6- È più importante essere presente a pochi punti centrali del tutto con una presenza che irradia vita, che esserlo a tutti i punti in fretta e a metà.

7- È più importante agire in unità che nell’isolamento, per quanto in gamba io sia.

Quindi è più importante collaborare che lavorare, è più importante la communio della actio.

8- È più importante, perché più feconda, la croce, che i risultati concreti.

9- È più importante l’apertura sul tutto (quindi su tutta la comunità, sulla diocesi, sulla Chiesa universale) che gli interessi particolari, per quanto importanti essi siano.

10- È più importante che venga testimoniata a tutti la fede che soddisfare tutte le esigenze tradizionali.

Con questa consapevolezza, con la volontà da parte loro di crescere nella fede e nella disponibilità al servizio, i Sacerdoti sentono che è possibile affrontare i vari problemi della diocesi. Per fare questo è necessario un atteggiamento di conversione.
Conversione come accoglienza della volontà di Dio, conversione nel fare pastorale, conversione nel porre in atto relazioni più profonde.
Ed è necessaria una conversione sia personale, sia come presbiterio in quanto tale. In particolare, finché la soluzione dei problemi la si cerca negli altri, nel cambiamento degli altri, nel cambiamento delle situazioni e nel porre chissà quali strategie che non coinvolgano i sacerdoti per primi… è difficile che ci si muova anche di poco.
Importante è non solo lo stile del ministero, ma lo stile della vita nelle sue relazioni e nella sua giornata ordinata. La vita buona del Vangelo è chiesta anche ai preti, a tutti.
A questo punto è sembrato opportuno fare una lettura della situazione della diocesi.
I Sacerdoti sono pochi. Sono complessivamente anziani. Ci sono problemi di salute. Si direbbe: Non si arriva da nessuna parte! Ma si deve credere che il Signore spesso parla anche attraverso le povertà. Si tratta allora di mettersi in ascolto e di accogliere la luce che il Signore dona.

1.2 - Rinnovamento in vista di una Chiesa che è Comunione

Ma una cosa è emersa fin dall’inizio: la chiamata che il Signore sta operando è fondamentalmente un invito alla Comunione. Comunione all’interno del Clero, comunione dei Ministri con tutto il popolo di Dio, comunione fra le Associazioni.
In questo discorso della comunione c’è la conversione dell’intero popolo di Dio e i Pastori hanno anche questo ruolo, quello di favorire la comunione: fin da ora possiamo dire che la risposta a tutte le difficoltà, la svolta da dare, la fatica da operare, la parola da declinare in tutte le maniere e situazioni è sempre la stessa: la Chiesa è comunione.

Pertanto in questo cammino di rinnovamento ci sono subito alcune cose da superare: il camminare da soli, il non riconoscersi membra di un unico corpo.
Per cui il primo cambiamento deve avvenire nel Vescovo, il quale dovrà essere attento alle persone, dovrà attardarsi ad ascoltare persone e situazioni, dovrà mettere in atto una paternità sensibile, generosa, attenta.
I Ministri Ordinati dovranno favorire la comunione, esortare alla comunione, cercare all’interno delle comunità loro affidate di favorire segni di comunione, incoraggiare.
I Religiosi e i Consacrati dovranno particolarmente essere luce, manifestando come il Signore va messo al primo posto, nella consapevolezza che nel riferimento costante a lui nasce la comunione.
Le Associazioni laicali dovranno sentirsi sempre più inserite nel cammino della diocesi.
Tutti i laici dovranno essere aiutati a non svolgere più un ruolo gregario, ma ad assumersi autentiche responsabilità.

1.3 - La speranza, caratteristica della comunione con il Signore

La molteplicità dei problemi non può, comunque, indurci alla disperazione. Papa Francesco in EG ci ricorda che il Signore è più forte (cfr EG 276), dona il suo Spirito, è potenza di Dio. E anche là dove si vedono tanti segni di morte, dobbiamo vedere la vita che sta risorgendo (cfr EG 275-280).
Partire con un pensiero di disperazione significa annullare ogni frutto. Quando Pietro sul lago fissa gli occhi su Gesù, cammina sull’acqua; ma nel momento in cui si lascia prendere dalla paura, va a fondo sul serio (cfr Mt 14,22-33). Perdere la fiducia è aprire la strada al fallimento. Dare fiducia al Signore è già certezza di frutto e rinnovamento.
Non permettiamo che passi un pensiero di disperazione, un pensiero secondo il quale non c’è futuro.
La certezza che il Signore non ci lascia soli, allora, ci spinge a metterci in cammino e a cercare strade da percorrere. Strade da percorrere, non soluzioni, perché noi sappiamo bene che dobbiamo fare tutto quello che c’è da fare, ma restiamo servi inutili. In altre parole il nostro impegno deve essere pieno, ma sappiamo che non dovremo mai pretendere di avere la soddisfazione di poter dire: Ho risolto tutti i problemi, ho tutto sotto controllo, le cose vanno bene. Il giorno che accadesse questo forse sta per avvenire il peggio. La Chiesa vive sempre una grande precarietà, per sua natura vive nella precarietà, proprio perché non si regge sulle sue forze ma deve sempre fare riferimento e ricorrere al Signore: Quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,10). Una Chiesa che vuole essere forte del suo, sta cedendo alle tentazioni fatte a Gesù nel deserto.

Riassumendo

1- La speranza ci caratterizzi, pur nella fragilità e precarietà del momento presente.
2- Necessità di abbandonare le proprie sicurezze per mettersi in ascolto dello Spirito.
3- Ognuno si senta coinvolto in un cammino di conversione da percorrere.
4- La Chiesa è Comunione: solo l’accoglienza reciproca fra tutte le realtà ecclesiali e una sincera collaborazione permetteranno di realizzare la comunione.

 

2 - I PASTORI

2.1 - La comunione con il Signore

Non è qui il caso di elencare le caratteristiche proprie dei Pastori. Anche perché, dato lo spazio disponibile, ogni discorso sarebbe riduttivo e, quindi, fuorviante. Ci limitiamo a dire che ciò che deve caratterizzare i Ministri ordinati è la “Carità Pastorale”, cioè quell’amore che è proprio di Cristo, il Buon Pastore, nella cui persona i Pastori trovano il modello per la loro vita.
Cristo, Buon Pastore, è il riferimento. Poi le circostanze, le esigenze, le sensibilità indicheranno come incarnare nella vita concreta l’opera del Buon Pastore.
Per questo la vita personale dei Ministri, contrassegnata comunque dalla fede e da una scelta di spendere la vita per il Vangelo, va sostenuta con i mezzi propri di un cammino di fede, ma anche accogliendo la Parola del Magistero della Chiesa. In particolare sto pensando alla EG e allo stupendo intervento del Papa durante l’ultima assemblea dei Vescovi italiani del 19-22 maggio u.s.
Ed è sempre per motivi di fede che va accettata la “novità”, in particolare quella di essere sempre più corresponsabili nel servire questa Diocesi, sapendo che il Signore l’ha affidata, per quanto loro compete, in particolare a loro, proprio a loro.
Non può mancare una intensa vita spirituale. Papa Francesco nella catechesi del 16 ottobre u.s. diceva: L’apostolo è quello che prega. Prega e poi evangelizza. Perché il primato della preghiera anche di fronte all’urgente necessità di annunciare la Parola? Perché è Dio che tocca il cuore, è solo Dio che converte.
Per questo ai Sacerdoti si raccomanda la S. Messa quotidiana, la Celebrazione fervorosa e integra della Liturgia delle Ore, la Confessione assidua, la Meditazione e Lectio Divina, l’Adorazione Eucaristica, la Devozione a Maria SS espressa soprattutto con il rosario (cfr PO 5.18 e PDV 48).

2.2 - Necessità di riorganizzarsi

In questo momento di particolare fragilità e complessità della vita i Pastori sono chiamati ad una conversione pastorale. Diciamo pure a riorganizzarsi. Diversa è la situazione dei pastori rispetto a 50 anni fa (numero, età, salute, esigenze del popolo): ma sono chiamati a riorganizzarsi non con lo spirito di una qualsiasi azienda che deve ristrutturarsi, bensì sempre nella consapevolezza che il pastore è il Signore Gesù.
Alcuni criteri potrebbero essere questi:
In una situazione difficile e complessa come è quella della Chiesa oggi, sono molteplici le risposte da trovare e le vie da percorrere.
Ma un atteggiamento di fondo i pastori non possono perderlo: quello di camminare nella fedeltà alla Chiesa e ai suoi orientamenti.
In articolare oggi l’esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, definita dal papa stesso programmatica, è un punto di riferimento.
È necessario riapprofondire la costituzione Lumen Gentium: questo per capire il ruolo della Chiesa in quanto tale, il ruolo dei laici e il servizio dei pastori. Questi ultimi, in particolare, devono avere la consapevolezza che non sono delegati della comunità, ma inviati per la comunità. L’essere presenza sacramentale di Gesù, però, non li pone su un piedistallo e non dà licenza ad assumere atteggiamenti autoritari: tutt’altro! Chiede di amare la Chiesa come sposa e di servirla con dedizione e generosità fino al dono della vita. Questo comporta il rifiuto dei propri comodi, delle proprie visioni, dei propri privilegi, e anche delle proprie sicurezze.

2.3 - Fiducia ai fratelli laici

In Ef 5,29 leggiamo: Nessuno ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa. Paolo parla ai mariti, e fa riferimento a Cristo, lo Sposo. Il Ministro, in quanto sacramento di Cristo, si rapporta alla Comunità come sposo. Lo spezzare la Parola e l’Eucaristia mettono in risalto questo legame sponsale. E allora la domanda che sempre va posta è questa: Cosa i Pastori stanno offrendo alla comunità-sposa perché cresca? Qual è il dono grande, vero, sicuro che i pastori offrono? Qual è il buon pascolo in cui i pastori accompagnano, nel nome di Cristo, il gregge loro affidato? In questo rapporto sponsale è importante il dialogo. Presbitero e Comunità dialogano, decidono, scelgono. Quanto è importante permettere che la sposa cresca. Ma Cristo non permette semplicemente che la sposa cresca, bensì le dà vita e la fa crescere. I pastori, pertanto, opereranno perché i laici si assumano anche grandi responsabilità: nella evangelizzazione, nella carità, e nell’animazione del popolo di Dio. Del resto tutto il popolo di Dio è chiamato a vivere queste tre dimensioni. Doveva essere la strada di sempre: oggi non se ne può fare proprio a meno! È necessario, pertanto, cercare vie (e la risposta non è data una volta per sempre) per scoprire o far nascere servizi e ministeri. Anzi, è necessario arrivare ad una “ministerialità diffusa”: meglio che tanti facciano poco, che alcuni soltanto facciano tutto! E allora diventa necessario anche formare le persone chiamate e disponibili. Infatti è necessario che il Pastore-sposo esorti, educhi, faccia la propria parte perché crescano servizi e ministeri. Come si diceva in un passato non molto lontano, il compito del pastore non è quello della “sintesi dei ministeri”, ma è quello del “ministero della sintesi”. Non è chiamato a far tutto, ma è chiamato a coordinare, sostenere, incoraggiare il ministero di tanti, di tutti. Questo comporta che il suo compito è insostituibile, ma che nello stesso tempo deve sostenere, favorire, accogliere il compito di altri. È chiaro il discorso di Pietro in occasione dell’istituzione dei Diaconi: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,2-4)

2.4 - Un servizio disponibile e generoso

I Ministri Ordinati non possono mai dimenticare lo spirito con cui hanno chiesto di accedere al Ministero. Quelle promesse non sono di un momento. Vale la pena ricordarle: disponibilità a servire il popolo di Dio, obbedienza, preghiera, conformazione al mistero eucaristico, adesione alla Parola di Dio. Si richiede disponibilità e quindi conversione. Ci si chiede pertanto di mettersi in gioco. I programmi più belli non servono a nulla se rimangono sulla carta e non sono vissuti.
Ritengo che per l’oggi i Pastori sono chiamati ad un supplemento di generosità: compresa la disponibilità di lasciare le proprie sicurezze, i propri posti per assumere altre responsabilità magari più grandi e impegnative. Sono chiamati a vincere soprattutto la paura, ricordando che il vero contrario della fede è, appunto, la paura.
Più che mai oggi possiamo e dobbiamo immaginare una stretta collaborazione fra Presbiteri, Famiglie e Religiosi: una collaborazione che potrà essere più ricca e soprattutto possibile all’interno delle Unità Pastorali.

2.5 - Pastorale delle Vocazioni

Nella Comunità ci sono diverse vocazioni: la vocazione laicale, la vocazione sponsale, la vocazione consacrata, la vocazione missionaria, la vocazione e il ministero presbiterale.
Nella Comunità ci sono ruoli diversi che vanno rispettati. Ognuno ha il suo ruolo: per questo è necessario rispettare e favorire la ministerialità dei laici, come ribadito dalla Assemblea diocesana.
Oggi la Chiesa jesina vive una preoccupazione a motivo della penuria dei presbiteri. È necessario, pertanto, che ognuno faccia la sua parte perché il Signore possa darci pastori secondo il suo cuore in numero sufficiente.
Il numero dei pastori: nella nostra terra abbiamo una tradizione, una storia, una attesa. Anche se dobbiamo prendere atto che i pastori non saranno più numericamente come sono stati 50 anni fa, non possiamo nemmeno concludere superficialmente che ne abbiamo comunque più che nelle terre di missione. Viviamo in un contesto diverso e diverse sono le esigenze e le attese.
E pertanto è urgente una seria pastorale vocazionale, opera della comunità intera, ma che vede i pastori, ad imitazione di Gesù, particolarmente sensibili nel chiamare ed educare i futuri pastori.
Gesù ha chiamato. Ha preso l’iniziativa. È importante che i Pastori chiamino e che guardino “con amore” e che, con coraggiosa naturalezza, propongano una vita di sequela e di ministerialità.
Anzitutto dobbiamo renderci conto di una situazione che viviamo: perché negli ultimi anni c’è stato un calo di vocazioni presbiterali così marcato?
Certo, dobbiamo prendere atto che sono cambiati i tempi. Questo vale per ogni vocazione di speciale consacrazione.
Una volta si entrava in seminario o in un istituto religioso da bambini e con facilità: i motivi potevano essere tanti. In ogni caso a volte all’origine c’era l’amicizia con un sacerdote e in famiglia c’era stima per il sacerdozio e per la persona consacrata. Ogni sacerdote sa che deve in parte il suo sacerdozio al parroco o ad un altro sacerdote. Così per i missionari e per persone consacrate. Il seminario o noviziato, pertanto, costituiva come un vivaio dove veniva proposta la vita sacerdotale o religiosa a ragazzi che effettivamente non avevano scelto, ma nemmeno avevano rifiutato tale tipo di vita.
Oggi siamo in una situazione diversa.
Indubbiamente è sempre necessario un modello. Spesso l’ipotesi sacerdozio o vita religiosa nasce dall’incontro con una persona “affascinante”, gioiosa nel vivere la sua adesione a Cristo. Ma perché di fatto questa prima intuizione abbia seguito, sono necessari altri ingredienti. Anzitutto è necessario un cammino di fede. L’incontro con una persona che abbia proposto una scelta di consacrazione con la propria vita o con le parole, può avere seguito se c’è un incontro con Cristo. E questo ci pone una domanda: nelle nostre comunità, nelle nostre associazioni giovanili quanto la Parola del Signore è abbondantemente proclamata? Quanto è Lui, il Signore Gesù, il motivo dello stare insieme? Non dimentichiamolo: la sola aggregazione, anche se brillante e festosa, non è ancora “fare Chiesa”!
La pastorale vocazionale, pertanto, inizia dall’educare alla preghiera, dallo spezzare la Parola, dall’accompagnare ai Sacramenti, fino all’aiutare a porsi le domande più forti sul senso della vita.
Così intesa, tutta la pastorale non può essere che vocazionale.
Dobbiamo a questo punto chiederci se non ci siano state delle manchevolezze in ordine all’opera educativa. Sicuramente sono state tante le iniziative, le attività, ma non sempre si è curata una “relazione profonda” con il Signore Gesù. La Chiesa si riunisce nel nome di Gesù, vive una profonda relazione con lui, prega, ascolta, accoglie e vive la sua Parola; lo incontra nei sacramenti. Con serenità, senza colpevolizzarci, ma con altrettanta serietà dobbiamo chiederci se, forse, la scarsità di vocazioni di questi ultimi decenni non sia dovuta proprio all’aver fatto poco perché i nostri giovani non perdessero il gusto della preghiera, la disponibilità all’incontro con il Signore nella meditazione della Parola di Dio, l’assiduità ai Sacramenti, la gioia dell’Adorazione Eucaristica, la disponibilità alla direzione spirituale.
Se così fosse, e personalmente credo che lo sia, dobbiamo proprio ripartire da qui, cioè dal rimediare a ciò in cui si è mancato.

Noi sappiamo che nel passato tante vocazioni sono maturate perché accanto ai motivi che sono stati accennati, c’è stata la famiglia che le ha sostenute.
Ormai comincia ad essere chiaro per tutti che non si fa pastorale giovanile e pastorale vocazionale prescindendo dalla famiglia. Non è qui il caso di approfondire il discorso della pastorale familiare, ma sia chiaro che quello della famiglia è un tema particolarmente importante e che la famiglia va coinvolta nella pastorale vocazionale.

Ora, quali scelte può fare la Diocesi?
In questi ultimi tempi si è dato un nuovo impulso all’Ufficio Diocesano per la Pastorale delle Vocazione (UPV), in cui collaborano rappresentanti di molteplici vocazioni.
Il primo compito che l’UPV si è dato, secondo l’esortazione evangelica: «La messe è abbondante ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai alla sua messe» (Mt 9,35-38) è stato quello di animare la preghiera per le vocazioni.
Chiedo alle parrocchie di favorire gli incontri fra i membri del UPV e i gruppi parrocchiali, soprattutto giovanili. In ogni caso l’UPV è chiamato a proporre e animare alcune iniziative, attività, incontri che indico a titolo di esempio:
a- Anzitutto la preghiera, personale e comunitaria. E i Sacerdoti sono chiamati ad esortare le comunità perché la preghiera non manchi mai.
b- L’UPV sosterrà percorsi dove nella preghiera e nell’ascolto si fa discernimento vocazionale. I pastori indichino e orientino giovani ad inserirsi in questi cammini.
c- La direzione spirituale è un servizio che i Sacerdoti (e non solo) sono chiamati a dare perché chi “cerca” abbia la possibilità di essere aiutato.
d- È importante la visita periodica ai gruppi giovanili e alle comunità parrocchiali da parte del Direttore soprattutto, ma anche da parte degli altri membri dell’UPV per sensibilizzare a questo discorso.
e- Un momento importante per porre e porsi la domanda è il cammino verso la Cresima. Il ritiro dei Cresimandi si potrebbe fare in seminario con l’aiuto del Direttore e dei membri dell’UPV.
f- Ma non dimentichiamo che tutta la pastorale è di natura sua vocazionale, cioè è risposta ad un Dio di amore che interpella, chiede e chiama.

Riassumendo

1- I Sacerdoti sono chiamati ad una vita di santità, dediti al “gregge” loro affidato”. Non è possibile per un pastore una vita mediocre.
2- Sappiano i pastori vivere con fiducia e generosità anche i loro limiti. Il Signore cerca la loro fedeltà, non altro.
3- I Pastori curino la loro vita spirituale: la loro adesione piena a Cristo li renderà testimoni gioiosi e affascinanti. Abbiano coscienza che la gioia con cui è vissuto il Ministero Sacerdotale è la migliore pastorale vocazionale.
4- I Pastori sono necessari, ma non per questo devono essere soli e fare tutto. Da soli non sono la Chiesa!
5- I pastori diano fiducia ai fratelli laici: li coinvolgano, li chiamino, li sostengano, si fidino.
6- Pastori e laici riscoprano l’urgenza di una seria pastorale vocazionale.
7- La pastorale vocazionale esige un forte annuncio della fede prima, un accompagnamento nella preghiera, nell’ascolto, una educazione anche attraverso la direzione spirituale, una chiamata.
8- L’Ufficio Diocesano per la Pastorale delle Vocazioni sia a disposizione delle parrocchie, dei gruppi, per offrire il proprio aiuto nell’animazione vocazionale della pastorale. Non sia ignorato, se ne accolga il servizio.

 

3 - I LAICI

3.1 - Chiamati a corresponsabilità

Ancor prima di pensare cose nuove sulle responsabilità che i laici possono assumersi, è necessario partire dal cammino fatto. Non è giusto dire che nel recente passato non si è fatto niente o che i laici non si sono mossi in nulla.
In particolare sto pensando in questo momento a tutte quelle persone che hanno fatto un cammino di formazione, a quelle persone, già formate che manifestano disponibilità, a quelle persone che già sono o possono essere una risorsa.
E allora chiediamoci: Che ne è dei ministeri già nati? Quanto i pastori e la comunità intera sono stati e sono accoglienti? Quanto ci impegniamo perché nascano nuovi ministeri?
Per fare questo cammino vedo utile che ci confrontiamo sugli atti della nostra assemblea diocesana dello scorso ottobre. Ricordiamo quelle due importanti domande:
a) siamo una Chiesa che sostiene la vocazione laicale (o il sacerdozio comune, che è un aspetto importante)?
b) verso quale investimento pastorale per i prossimi anni (organizzazione e comunione, servizio agli ultimi, cammino di educazione ed evangelizzazione)? In fondo è come dire che i vari problemi vanno affrontati anche dai laici, perché, insieme ai pastori, sono Chiesa.
È necessario che cogliamo anche quell’impulso che ci viene dal recente Convegno Regionale sulla Evangelizzazione che ha sottolineato l’importanza dei laici, e della donna in particolare, nella Chiesa di oggi.
Abbiamo investito su una “Scuola per i ministeri”, (proseguita poi con la formazione di animatori dei fidanzati) finalizzata alla formazione di persone disponibili a prendersi la responsabilità in un servizio che proprio all’atto della domanda, era stato condiviso dal parroco.
È sicuramente utile rendere permanente un Corso per i ministeri di fatto, individuando quelle necessità e quelle persone che i parroci possono suggerire?
Una delle abilitazioni potrebbe essere proprio quella della conduzione, in unione al parroco, di una piccola comunità.

Per parlare dei Laici, forse bisogna cominciare dai Sacerdoti. Bisogna che i Sacerdoti si mettano veramente in ascolto, che non pretendano di avere tutte le risposte e tutte le soluzioni. C’è da riscoprire le parole di Pietro: Noi ci dedicheremo alla preghiera e alla predicazione. È la prima convinzione che ci porta ad accogliere il servizio dei Laici.
C’è da riscoprire anche il valore della comunione: tra i Preti, tra Preti e Laici e tra Laici e Laici. I Laici sono chiamati ad assumersi responsabilità non perché i Preti non ce la fanno più, ma perché c’è un ruolo dei Preti ed uno dei Laici, da vivere nel rispetto e nell’accoglienza reciproci.
Non dimentichiamo, inoltre, che accanto ai servizi della Parola, della Liturgia e della Carità, i Laici hanno il loro specifico servizio “nel secolo”.
In ogni caso quando chiamiamo i Laici a corresponsabilità, c’è una mentalità da superare: i Pastori non possono più cercare perfetti esecutori, ma “imperfetti corresponsabili”. Infatti le persone non sono a loro immagine e somiglianza, bensì hanno le loro caratteristiche buone e meno buone, che comunque vanno accolte, rispettate e, a volte, almeno tollerate. In altre parole bisogna accettare la fatica di lavorare sempre insieme.
Ma proprio il discorso della imperfezione e della inadeguatezza ne apre un altro; quello della formazione permanente, anche per i Laici. E non fermiamoci di fronte ad una o tante esperienze negative.
Bisogna scoprire e favorire vocazioni laicali. Ma fintanto valorizziamo anche quelle che ci sono. Sappiamo, infatti, che ci sono tanti Laici che affermano di voler servire la Chiesa e mettersi a disposizione del Vangelo. Ce ne sono altri che lamentano di non essere nè chiamati, nè valorizzati. Ma superiamo anche polemiche, tensioni o rivendicazioni.
Certo, la Chiesa non è una azienda. Laici e Preti possono lavorare bene a condizione che ci si lasci guidare dallo Spirito. E la Chiesa ha bisogno di Laici che vivano con questo spirito e non semplicemente persone che facciano un “generico volontariato”.

3.2 - La corresponsabilizzazione dei Laici esige formazione

Imparare a pensare ai Laici non come esecutori, ma come corresponsabili, richiede per essi una formazione. Anzitutto la formazione teologica.
Per questa, dove e quando è possibile, è bene servirsi dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) di Ancona. Ma sappiamo bene che per tanti questa strada sarebbe difficile.
Abbiamo portato avanti per anni la scuola per ministeri. Forse non ha dato tutti quei frutti che avremmo desiderato, ma sarebbe ingiusto dire che non sia stata utile.
Parlando di formazione dei Laici, è importante che si educhino e siano educati a non cercare se stessi o un modo di affermarsi.
Anche per loro è fondamentale imparare lo spirito di comunione. Non abbiamo bisogno di uno che faccia tutto (con il rischio di non essere accettato), ma di tanti che insieme facciano tutto. Ciò richiede spirito di comunione, umiltà, disponibilità, e quindi formazione. È necessaria una formazione teologica, una formazione pastorale e pratica, ma anche una formazione spirituale. Mancando quest’ultima non è garantita né la serietà del servizio, né la comunione.
A conclusione di un percorso formativo, è bene che, come si fa con i catechisti, anche per altri servizi ci sia un mandato: serve per responsabilizzare chi lo riceve e aiuta la comunità a “riconoscerlo”.
È opportuno che vengano maggiormente valorizzati i ministeri dell’Accolitato e del Lettorato.

3.3 - I servizi dei Laici

Non dimentichiamo mai la loro indole secolare. Questo è il loro specifico. Ma sono chiamati anche ad assumersi quegli impegni che sono propri della Chiesa intera.
E il Signore potrebbe mandarci o famiglie o singole persone che vogliono vivere la loro vita pienamente a servizio della comunità. Sarebbe un dono immenso. Ma sto pensando anche a persone che già svolgono un servizio di “custodi” nelle nostre parrocchie. Debitamente preparate potrebbero essere ancor più preziose. Ad una persona o una famiglia che si mette a disposizione in questa maniera della comunità deve essere poi riconosciuto un peso là dove si devono fare scelte.
Il Signore potrebbe mandarci… È vero, tutto è dono. Ciò non toglie il nostro impegno. È necessario pertanto favorire, formare, chiamare, famiglie o singole persone che si assumano responsabilità importanti, fino alla conduzione pastorale di una parrocchia, per quello che è loro possibile, lasciando ad un Ministro Ordinato ciò che è strettamente di sua competenza.
Ma è necessario, più che puntare su una singola persona, cercare un gruppo (piccolo o grande che sia) di persone che insieme possano mantenere viva una comunità che potrà usufruire della presenza del parroco solo per la domenica.
Anche se non impossibile, forse è difficile trovare un laico che da solo si assuma una responsabilità piena. Per questo bisogna creare una mentalità ministeriale, per cui tanti portino avanti ciascuno un piccolo servizio.

Riassumendo

1- È l’ora di pensare ai Laici non solo come a dei collaboratori, ma come a corresponsabili.
2- Una Chiesa-Comunione è necessariamente una Chiesa tutta ministeriale.
3- È necessario offrire un aiuto a quei laici che accettano di assumersi delle responsabilità: per questo è necessario far nascere una scuola permanente di formazione alla ministerialità.
4- Alla base di tutto è necessario un cambiamento di atteggiamento. Bisogna imparare a dare fiducia ai laici fino ad accogliere la loro disponibilità a servizi di grande responsabilità.
5- È necessario valorizzare i ministeri istituiti dell’Accolitato e del Lettorato.

4 - RELIGIOSI/E E CONSACRATI/E

La vita religiosa, specialmente femminile, in Diocesi è presente con poche comunità. Sono state chiuse negli ultimi anni tanti centri apostolici. Siamo convinti che la loro presenza nella Chiesa è necessaria, anzi costitutiva. Nel guardare a loro, possiamo farci le stesse domande che ci siamo fatti per i laici: quale impegno specifico possono svolgere nella nostra realtà della Vallesina? Possono essere per noi tutti dei punti di riferimento per la vita spirituale, per la guida di alcune realtà parrocchiali, per l’accompagnamento alle famiglie, per l’animazione giovanile e vocazionale? Certamente sì!
Parlando dei laici abbiamo affermato che è necessario, più che puntare su una singola persona, cercare un gruppo (piccolo o grande che sia) di persone che insieme possano mantenere viva una comunità che potrà usufruire della presenza del parroco solo per la domenica: tutto questo possiamo affermarlo soprattutto per presenze di piccole comunità religiose. Per questo, forse, più che assistere passivamente alla chiusura delle case, dovremmo darci da fare a chiedere ad alcuni Istituti religiosi la presenza di piccoli nuclei di Religiose/i.
Più volte le religiose e i religiosi ci hanno sollecitati a dare risalto all’importanza della vita consacrata nelle nostre parrocchie e nella diocesi. Dobbiamo riconoscere la loro preparazione e il loro specifico servizio, affidando responsabilità in modo più esplicito. Guardando in avanti vogliamo vedere i Religiosi e i Consacrati in prima fila nell’assunzione di responsabilità.
Desideriamo, inoltre, essere arricchiti dalla loro testimonianza e dalla loro freschezza di luminosità nel dare il primato a Dio. Non molto tempo fa avevo scritto così: «Dai religiosi dai consacrati attendiamo che ci stupiscano! Hanno scelto una vita luminosa, una vita in cui Gesù è messo al primo posto e le esigenze del Regno di Dio prevalgono su ogni altro interesse. La loro vita deve parlare prima ancora delle loro parole. Devono chiaramente indicare che hanno trovato il vero tesoro e hanno acquistato la perla di grande valore. È chiaro che chi ha coscienza di tutto questo, vive nella gioia».
I consacrati e le consacrate sono i testimoni della gioia, perché hanno scelto di non anteporre nulla a Cristo; l’incontro con Cristo è sempre motivo di gioia (cfr EG, 1).
L’esperienza di comunione tra presbiteri, laici e consacrati rivela una Chiesa al cui centro c’è il Signore. Anche nel linguaggio dovremo coniugare queste presenze in connessione tra loro: “presbiteri, laici e consacrati”.

Riassumendo

1– I religiosi e le religiose siano testimoni credibili del primato di Dio e come tali siano accolti.
2- Piccole comunità, centri di preghiera, testimoni della gioia fraterna e disponibilità a sostenere la vita spirituale di tutti: la Comunità intera favorisca tutto questo.
3- Consacrati e consacrate disponibili ad assumere responsabilità nelle parrocchie e nella Diocesi.

5 - LA PARROCCHIA

5.1 - La situazione

La parrocchia sembra avere un momento di stanchezza. In più parti oggi vediamo che nella Chiesa si cammina a due marce: la parrocchia spesso si limita a curare l’esistente, mentre la vivacità missionaria l’hanno alcune “nuove realtà”.
Sicuramente in una visione di pastorale integrata vale quello che dice il Papa: La parrocchia, ancora necessaria, ha bisogno di rimettersi a nuovo e Gruppi e Movimenti, per lo più recenti, vero dono dello Spirito, non possono prescindere né fare a meno della parrocchia.
È anche vero, però, che anche alcune associazioni vivono anch’esse una difficoltà e, in questo tempo sembra che spesso lavorino solo per sé, per la propria sopravvivenza.
Questo ci impegna a favorirle le Associazioni, anche dal punto di vista numerico degli associati, perché poi possano esprimere, oltre alla cura dei propri aderenti, un impegno generoso a servizio del Vangelo e della Chiesa. In particolare dobbiamo riscoprire il ruolo dell’Azione Cattolica.
La stabilità della Parrocchia, la vivacità di alcuni movimenti, la storia e l’esperienza di altre associazioni hanno bisogno di un luogo dove ritrovarsi, sostenersi, aiutarsi per servire la Comunità cristiana: questo luogo non può essere che il Consiglio Pastorale Parrocchiale.

5.2 - Il consiglio pastorale parrocchiale

Il CPP è un momento importante di comunione e corresponsabilità.
Ogni parrocchia abbia il CPP. È anche il primo e fondamentale passo per dire che si crede nelle sorelle e fratelli laici. Ci diceva il Papa nella recente assemblea dei Vescovi: «Dare fiducia ai laici è un rischio. Ma non dar loro fiducia è un rischio immensamente più grande».
Tanti Parroci non hanno una buona esperienza del CPP. Il motivo sembra essere nel fatto che difficilmente le persone si lasciano coinvolgere e mantengono gli impegni presi. Sicuramente questa è l’esperienza di qualcuno. Ma sarebbe un errore generalizzare. Infatti vediamo anche tanti laici che vivono la parrocchia con grande generosità e profondo senso di responsabilità. E allora bisogna dire che in alcune parrocchie c’è addirittura soddisfazione per il lavoro del Consiglio Pastorale. Insomma la risposta dei laici è diversa nelle diverse parrocchie. Ogni situazione è a sé.
Ma è sicuro che non possiamo fare a meno del Consiglio Pastorale Parrocchiale. È il primo modo di dar voce ai Laici. Ma il primo a crederci e a volerlo deve essere il parroco.
Allora dobbiamo pensare come far sì che il CPP funzioni.
Diverse sono le forme in cui nelle parrocchie si è costituito o si è tentato di costituire il Consiglio Pastorale. Sembra importante, comunque, che non debbano mancare nel CP oltre al Parroco, al Diacono e ai Religiosi, coloro che hanno ruoli importanti all’interno delle Associazioni o svolgano servizi particolarmente significativi. Insomma, bisogna chiamare persone che hanno già una vera responsabilità nella Comunità e bisogna coinvolgere Gruppi e Associazioni soprattutto nei loro Responsabili. Ed è importante anche che ci siano degli esperti.
Certo, a loro volta i laici devono sentirsi corresponsabili della vita delle Comunità. Il loro compito non può essere semplicemente quello di dar dei bei consigli al parroco, ma in uno spirito di comunione è fare insieme il cammino e portare insieme la responsabilità con il peso che questa comporta.
Il Consiglio Pastorale è uno spaccato della parrocchia dove i Consiglieri sentono il battito del cuore della comunità. Solo così è possibile conoscere la comunità. Ma è necessario che i Consiglieri abbiano anche una profonda attenzione a quanto il Signore dice. Solo così potranno scegliere il meglio per la comunità.
Nel Consiglio Pastorale Parrocchiale si esprime soprattutto la Comunione. Presbiteri, Diaconi, Religiosi, Rappresentanti delle realtà della Comunità Parrocchiale, Responsabili di associazioni, altri membri designati per il loro ruolo… tutti sono chiamati vivere la Comunione ecclesiale che si esprime nell’unica fede e in un unico obiettivo: aiutare la comunità intera a vivere la fede, la speranza e la carità. Per questo il Consiglio Pastorale Parrocchiale deve porsi sempre in atteggiamento di obbedienza allo Spirito.

Riassumendo

1- È necessario ridare vita alle parrocchie. Per questo è importante non distruggere i patrimonio di tradizione che la parrocchia vive, ma è importante essere attenti e accoglienti anche nei confronti dei doni che il Signore vuole fare oggi.
2- L’espressione del Papa “Chiesa in uscita” è applicabile fondamentalmente alla parrocchia. La missionarietà, l’attenzione ai poveri, l’annuncio del Vangelo ai lontani, la formazione dei vicini sono le caratteristiche fondamentali della parrocchia.
3- Ogni parrocchia abbia il Consiglio Pastorale parrocchiale: persone formate sapranno fare, insieme al parroco, un buon discernimento sul cammino da compiere.
4- Ogni parrocchia abbia il Consiglio per gli affari economici.
5- L’esperienza dice che per il buon andamento di tali consigli è necessario che i membri siano attenti alla Parola di Dio, siano attenti alle indicazioni del Magistero, abbiano a cuore la vita della Chiesa e abbiano anche buone capacità “amministrative”.

 

6 - LE UNITÀ PASTORALI

Da tempo parliamo di Unità Pastorali: è necessario che entriamo ormai in maniera decisa in questa prospettiva. Le Unità Pastorali possono offrire delle possibilità che la parrocchia da sola non ha. Nello stesso tempo le Unità Pastorali non stravolgono l’attuale sistema di parrocchie e nello stesso tempo comprendono zone discretamente ampie.
L’esigenza di pastori visibili ed individuabili richiede che il territorio di una UP non sia troppo grande. E poi la ricchezza costituita dal legame della gente con il proprio pastore non può essere gettata via.

6.1 - Cosa sono le Unità pastorali

L’Unità pastorale è una particolare unione di più parrocchie affidate dal Vescovo a una cura pastorale unitaria e chiamate a vivere un cammino condiviso e coordinato di autentica comunione.
La logica della costituzione delle Unità pastorali non è quella della semplice aggregazione dovuta alle carenze delle singole comunità; invece occorre partire da una logica di comunione, per cui sono condivise risorse e potenzialità, per un arricchimento generale.
È necessaria una duplice attenzione: quella di permettere che si mantenga e si alimenti il senso di appartenenza di ogni cristiano alla sua comunità parrocchiale; nello stesso tempo quella di permettere che ognuno si apra alla collaborazione e si senta quindi inserito in un contesto più grande.
Per questo ogni parrocchia mantiene il suo Consiglio Pastorale per l’organizzazione della sua vita interna; ed essendo, tra l’altro, ente giuridico a sé, mantiene la sua Commissione per gli affari economici per la gestione dei beni della parrocchia stessa.

Le attuali UP dovranno essere riviste in tempi brevi, ma è necessario che una UP abbia una certa omogeneità così che ci sia la possibilità di una autentica attività pastorale unica e si permetta la valorizzazione di tutte le vocazioni.
In ogni caso sono molteplici i modi di attuare le UP. I fatti ci dicono che hanno cominciato a camminare meglio le UP dove ci sono parrocchie piccole e omogenee. L’incapacità di fare da sole e il fatto che non ci sia una parrocchia predominante ha permesso un lavoro migliore.
Ma è necessario rendersi conto che l’UP non è semplicemente un fatto di servizi per rispondere alla propria inadeguatezza: è fondamentalmente una esigenza di comunione. Pertanto bisogna lavorare insieme, pur se in termini diversi, anche là dove sembra che non si ha bisogno degli altri.
Onestamente dobbiamo riconoscere che abbiamo cominciato a parlare di Unità Pastorali per necessità, quella necessità data in particolare dalla scarsità di sacerdoti. Ma questa consapevolezza, ora, non deve condizionarci. Oggi diciamo che il discorso delle Unità Pastorali è importante in se stesso. E allora affrontiamo “generosamente” questo discorso. E per farlo è necessario spirito di conversione, capacità di adattamento, consapevolezza che i propri doni vanno messi in comune e che la propria povertà non va nascosta.
Non dimentichiamo, inoltre, che l’Unità Pastorale non è un fatto di parroci, ma un fatto di comunità.
Però è anche vero che l’Unità Pastorale favorisce ed esige una qualche forma, più o meno intensa a seconda dei casi, di vita comune fra i presbiteri. Salvaguardando le esigenze del popolo di Dio, va accolto il desiderio di quei presbiteri che desiderano fare vita comune, anche se va ricordato che le esperienze di vita comune basate su amicizia o affinità fra le persone sono fallite. Infatti nella vita comune fra presbiteri occorre fondarsi su un discorso di fede o, potremmo dire, su una risposta ad una vocazione nella vocazione.

Perché l’UP funzioni è necessaria una “programmazione” che tenga conto del cammino delle singole parrocchie, ma che preveda anche servizi e scelte che le parrocchie da sole non possono darsi. Di seguito verranno indicate alcune delle possibili iniziative che l’UP può portare avanti.
Certo, tutto questo richiede larghezza di vedute e disponibilità, ma è anche necessario vincere la paura, soprattutto da parte di chi è chiamato a svolgere un servizio più significativo. La stessa responsabilità e lo stesso impegno che si mettono per la parrocchia devono essere sentiti per l’UP.

6.2 - Unità Pastorale e parrocchie

Invece di pensare alle Unità Pastorali, non sarebbe possibile accorpare le parrocchie, facendo di alcune di esse un solo ente?
Attualmente sembra più opportuno di no:
– Per motivi giuridici;
– Per rispetto delle tradizioni di ciascuna comunità;
– Per favorire la vicinanza dei pastori ai fedeli, evitando che i sacerdoti diventino dei funzionari;
– Perché è importante mantenere quelle relazioni sane, buone, costruttive che sono possibili solo in realtà a misura d’uomo.

Riguardo ai motivi per cui non possiamo abolire le parrocchie, voglio dare particolarmente rilievo al fatto che i sacerdoti devono essere vicini ai fedeli. Non possiamo permettere che il prete diventi semplicemente un funzionario. Il fatto che i parroci conoscessero bene i loro fedeli, di loro sapessero tutto e avessero, di conseguenza, la capacità di essere vicini nei momenti lieti e tristi è stato sicuramente un dato positivo nella vita della Chiesa di un recente passato. Certo, ciò era facilitato dal numero consistente dei pastori e da un altro modo di concepire la pastorale. Per questo, accanto ad un doveroso rinnovamento, non dimentichiamo che la prima forma i pastorale è il farsi vicino del pastore al proprio gregge, è permettere alle pecorelle di riconoscere la voce del pastore, è incoraggiare, esortare, condurre, richiamare, amare, offrire la vita, ascoltare. Quelle espressioni fiorite di Papa Francesco (il pastore deve avere l’odore delle pecore) vanno prese in tutto il loro profondo significato.

6.3 - I soggetti

- I presbiteri. In ogni unità pastorale, ci sono più presbiteri, secondo le esigenze. È auspicabile che i presbiteri attuino qualche forma di fraternità. Il vescovo nomina un presbitero parroco di tutte le parrocchie dell’UP o un coordinatore dei parroci e dell’attività dell’UP stessa. Altri sacerdoti, per esempio i vicari parrocchiali, possono svolgere il loro ministero su più parrocchie. In ogni caso è fondamentale la volontà dei sacerdoti di collaborare insieme.

- I diaconi. I diaconi, oltre alla loro presenza nella comunità parrocchiale, possono essere chiamati a svolgere un servizio nell’UP o in più parrocchie. Senza avere il titolo di legale rappresentante, il diacono può essere responsabile della pastorale di una parrocchia.

- Le persone consacrate. All’interno dell’Unità pastorale le persone consacrate porteranno il loro carisma e le comunità religiose saranno valorizzate nella progettazione pastorale. Ai religiosi non sacerdoti e alle religiose possono essere affidati anche incarichi che comportino responsabilità significative, compresa l’animazione pastorale di una parrocchia.

- Famiglie: auspichiamo la presenza e quindi l’accoglienza di famiglie che si dedichino a tempo pieno al servizio della Chiesa. A loro possono essere affidate responsabilità significative, quali, per esempio, la cura di una parrocchia, sotto la guida di un presbitero che ha il titolo di parroco-legale rappresentante.

- I laici e le aggregazioni laicali. Le unità pastorali favoriscono il nascere di nuove forme di servizi laicali, sia all’interno della comunità cristiana con nuove ministerialità, sia in particolare nella comunità civile, come, per esempio, nel mondo del lavoro e dell’impegno sociale e politico.
Le aggregazioni laicali presenti nell’Unità pastorale si integrino nell’attività pastorale portando il loro originale contributo.

6.4 - Compiti delle Unità pastorali

Il compito principale dell’Unità Pastorale è vivere la missione ecclesiale attraverso una progettazione comune della pastorale. A questo compito è necessario arrivare gradualmente attraverso passi successivi. Ci sono, comunque, elementi essenziali che le Unità pastorali possono vivere fin da subito e altri che si costruiranno cammin facendo.

È importante ribadire che l’Unità pastorale non è una “super-parrocchia” e, quindi, l’obiettivo non è far tutto insieme, annullando la vita singola di ogni comunità. Però ci sono alcuni elementi essenziali comuni a tutte le Unità Pastorali. Esemplificando:
- All’interno delle UP le singole parrocchie rimangono con la loro autonomia.
- Il Vescovo nomina tra i presbiteri dell’unità pastorale un presbitero coordinatore o moderatore.
- Si dovrà costituire un Consiglio Pastorale di Unità Pastorale che sarà formato dai presbiteri presenti nell’Unità pastorale, dai diaconi e da alcuni rappresentanti dei singoli Consigli pastorali parrocchiali e da persone esperte. Il Consiglio di Unità pastorale non cancella gli organismi di partecipazione parrocchiale anche se naturalmente occorre armonizzare il rapporto.

6.5 – Il Consiglio di Unità Pastorale

Il Consiglio di Unità pastorale ha il compito di progettare il cammino da compiere all’interno dell’Unità Pastorale e di verificarne l’attuazione.
A titolo di esempio si possono suggerire questi ambiti in cui il Consiglio Pastorale di UP può riflettere e programmare:

Nella liturgia: curare la formazione degli animatori liturgici, determinare alcune celebrazioni di UP, vigilare che non si accavallino celebrazioni, permettere e facilitare, per coloro che lo desiderano, una mobilità, facendo un “orario di Unità Pastorale”.

• Nella catechesi: omogeneizzare il percorso di iniziazione cristiana dei ragazzi secondo le indicazioni diocesane. Curare la formazione dei catechisti e degli altri operatori della catechesi. Armonizzare l’attività educativa dei gruppi o movimenti presenti nell’UP.
• Nella carità: curare la formazione degli operatori nell’attività caritativa, promuovere almeno un Centro di Ascolto ogni UP.
• Nella pastorale familiare: coordinare la vita dei gruppi famiglia, fare insieme la formazione per i fidanzati, seguire insieme le giovani coppie, preparare le famiglie al Battesimo dei figli, preparare coppie per la pastorale della famiglia.
• Nella pastorale giovanile: fare formazione comune per gli animatori dei gruppi di adolescenti e giovani; curare insieme la formazione degli animatori dell’oratorio; dove è il caso pensare a un oratorio di unità pastorale; costituire gruppi giovanili di UP o aderenti alle varie associazioni.
• Nella pastorale sociale: interessarsi del mondo del lavoro, avere a cuore i migranti, curare l’educazione alla pace, alla giustizia, difendere l’ambiente.
Nella pastorale della salute: pensare a forme di vicinanza più organica al mondo della sofferenza, curare la formazione dei ministri straordinari della Comunione, favorire le associazione di volontariato…

Riassumendo

1- La Pastorale venga attuata anche tenendo conto delle Unità Pastorali.
2- È bene che i Pastori dell’UP vivano qualche forma di fraternità. I momenti di preghiera siano intensi, lo scambio di opinioni frequente, i momenti di condivisione tanti.
3- Ci sia il Consiglio Pastorale di Unità Pastorale, necessario per una programmazione dell’UP che, però, si armonizzi con il cammino delle singole parrocchie, le quali non perdono la loro fondamentale autonomia.
4- L’UP permetta la valorizzazione di ogni ministero e delle varie Associazioni, così che anche le realtà più povere non perdano la loro vitalità.
5- Si riconoscano le competenze dell’UP perché nulla vada perduto.

 

Arrivati a conclusione di questa esortazione, ci accorgiamo che un discorso di rinnovamento ha bisogno di tanti altri passi e scelte. Questa esortazione vuole limitarsi ad offrire a tutti il percorso che l’Assemblea Diocesana prima e le Assemblee dei Sacerdoti poi hanno fatto in questo anno. C’è altra strada da fare, lo sappiamo bene. Il Signore ci conceda, comunque, di mettere in atto quanto ci siamo finora detti. Ora sarà necessario tradurre queste indicazioni in passi concreti: potrà esserne investito anche il Consiglio Pastorale Diocesano.
Siamo partiti in questa riflessione interrogandoci su quanto il Signore ci chiede. Certo, subito si fa avanti la tentazione dello scoraggiamento. La nostra inadeguatezza di fronte alla richiesta del Signore rischia di farci cadere nella tristezza e nella paura.
A conclusione, allora, dobbiamo dire una parla di speranza.
Sì, ci si chiede di non avere paura: non siamo soli, il Signore ci accompagna. È la nostra forza. Il Risorto è il vincitore. È lui che porta la vita e la salvezza: noi siamo chiamati ad essergli fedeli.
Ascoltiamo ancora quelle parole del Papa che ci vengono offerte in EG:
Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida (EG 275).
La sua risurrezione contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali… nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto (EG 276).
[Ogni fedele] è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza (EG 279).

Questa è la nostra certezza, qui è il fondamento di ogni nostro impegno: nulla va perduto, anche se ci fosse da donare la vita.

Su ogni buon proposito, su ognuno che mette la sua vita nelle mani di Dio, e anche su ognuno che ha paura, invoco la benedizione del Signore, mentre chiedo per la nostra Chiesa e per ognuno in particolare la preghiera di intercessione di Maria Santissima.

Jesi, 15 agosto 2014
Solennità dei Maria SS. Assunta in Cielo

+ Gerardo Rocconi, Vescovo

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Mons. Gerardo Rocconi

Esortazioni e messaggi del vescovo